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Lo stato di allerta e lo stato che non c’è – La paura del nucleare e la via Russa verso l’occidente

Le questioni sollevate dall’attacco russo alla centrale nucleare di Zaporizhzhya, la più grande d’Europa, con il conseguente crescere dei timori di una nuova Chernobyl, e l’appello del direttore generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Nucleare (AIEA) Rafel Mariano Grossi per il cessate al fuoco attorno alla centrale, rischiano di far passare in secondo piano altri aspetti del conflitto che sarebbe opportuno tenere in considerazione.

Guardare più in profondità.

Lo scenario di un possibile incidente nucleare, o la minaccia dell’utilizzo di armi atomiche rientrano a pieno titolo nei timori di una escalation del conflitto le cui conseguenze andrebbero ben oltre i confini dei territori invasi dall’esercito di Mosca. Così come assume tono strategico l’innalzamento del livello di allerta delle forze nucleari russe voluto da Putin. Ma abilmente mantenuto ambiguo. In che cosa consiste infatti questo innalzamento di livello? Riguarda l’impiego del personale, dei meccanismi di difesa o la prontezza di un attacco portato da forze dispiegate intorno al teatro di guerra? Su questo non è possibile azzardare ipotesi, se non che l’uso di armi nucleari in un territorio alle porte dell’Europa, oltre ad essere ingiustificato, aprirebbe subito il campo a rappresaglie disastrose per tutti i contendenti.

La minaccia nucleare diventa, allora, un deterrente per distogliere lo sguardo della comunità internazionale dalla carta geografica, e da altri obiettivi raggiungibili con armi e tattiche più convenzionali.

La via di Odessa

Obiettivo delle forze di terra russe è la città portuale di Odessa, la porta sul Mar Nero che completerebbe l’accerchiamento da sud-est dell’Ucraina, ma poco più in là si nasconde un altro possibile obiettivo dell’espansione russa nell’area. Non è una terra di nessuno, ma una piccola regione filorussa al confine con la Moldova.

Lo stato che non c’è

Si chiama Transnistria, è una piccola enclave separatista, la cui capitale è Tiraspol. Nata da un’insurrezione armata avvenuta dopo la caduta dell’Unione sovietica nel 1992, anche se priva di qualunque riconoscimento internazionale (persino di quello della stessa Mosca) conserva una base militare russa, con circa 1500 soldati, fin dalla separazione dalla Moldova, divenuta indipendente.

Questa piccola terra di confine, il cui nome ufficiale è Repubblica Moldava Pridenstroviana, l’abbiamo vista comparire su una mappa qualche giorno fa, alle spalle del presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko, impegnato ad illustrare a favore di telecamere, alcuni piani militari relativi alle operazioni in Ucraina.

La via per l’occidente

Lo stato che non c’è, può dunque diventare la porta di accesso alla regione di Odessa, al Mar Nero, ma anche una testa di ponte per l’esercito russo non tanto per l’invasione della Moldova, quanto per esercitare pressione sulla vicina Romania, che è paese aderente alla Nato.

Così, mentre si discute di corridoi umanitari, di sanzioni economiche, no fly zone e trattative diplomatiche, le mire espansionistiche di Vladimir Putin sembrano puntare ben oltre i confini dell’Ucraina.


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7 Comments

    1. Ci risiamo, dici bene. A differenza del passato, però, la politica aggressiva di Putin è andata molto oltre la rivendicazione di territori che erano sempre rimasti nell’orbita della Russia sovietica, come la Georgia, la Cecenia o la Crimea. Questo allargamento “manu militari” verso ovest è chiaramente diretto ad aprire una breccia ai confini dell’Unione Europea e della Nato.

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