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“Il Colibrì” – Storia di un riscatto emotivo

Un parallelo tra il film e la psicologia di Robin Norwood

Da tempo ero trepidante per l’uscita del film di Francesca Archibugi, ”Il Colibrì”, con protagonista Pierfrancesco Favino. Ho deciso, pertanto, di raccontarvi la trama, analizzando più da vicino le tematiche psicologiche e relazionali insite, grazie al collegamento con un libro che ha un forte richiamo col film.

La trama

Spoiler Alert

Si tratta di un genere familiare e psicologico.
Il regista è stato bravo a creare un ponte tra presente e passato, mostrando, e facendo così comprendere, allo spettatore il motivo di ogni scelta e di ogni passo compiuto dai personaggi.
Primo tra questi è proprio Pierfrancesco, nei panni di Marco Carrera, detto anche il ”il colibrì” per il suo essere minuto.

Marco è fin da piccolo molto forte emotivamente.
Cerca di fermare la sorella, che soffre per la sua famiglia e vomita continuamente, e che respinge il suo aiuto. Per questo, non riesce ad evitare il suo suicidio. Successivamente, la sua vita è costellata da eventi più positivi, come l’incontro con la sua vicina di casa, Luisa Lattes, francese.

Marco e Luisa Lattes

Tra i due nascerà una relazione segreta, suggellata da un bacio sulla spiaggia, (e dalla promessa di amarsi senza consumare questo amore, preservandolo anche nell’età adulta).

Il film prosegue con lo svolgimento delle vite parallele ai personaggi della famiglia del Colibrì, e dei suoi amici. Tra di essi, uno, chiamato Duccio, lo accompagna nella cattiva sorte, per la nomea di ”portare sfiga”.
Marco, però, ignora le voci e continua a frequentarlo, finché non ammette anche lui, a sé stesso e agli altri, la verità. Gli si palesa dopo la caduta dell’aereo che i due dovevano prendere per giocare al casinò, e dal quale scendono per un momento di follia di Duccio.

Intanto in televisione, anni dopo, una giovane donna racconta di come sia scampata all’incidente, regalando il suo midollo alla sorella malata. Marco lo vede come un segno, e la trova.

Marco e la moglie Marina

I due diventano ben presto marito e moglie, e hanno una figlia: Adele. Questa, però, soffre di un disturbo ossessivo allucinatorio. La madre, pur andando in terapia, nega che la figlia possa avere dei problemi, sottovalutando la situazione. Marco, allarmato, decide di parlare con un dottore.

Egli collega le allucinazioni della figlia alla mancanza paterna. Da qui si apre il vaso di pandora, scoperchiando una relazione fragile, debole, fatta di bugie e di tradimenti. Difatti lei tradisce Marco più volte, mentre lui continua a vedere Luisa in segreto, pur non avendo alcun rapporto sessuale con lei.
Marco, però, non si accorge che quella di sua moglie è una reazione per farsi notare.
Nel rapporto con lui si era sentita dapprima cercata e desiderata, e poi dopo invisibile e messa al secondo posto. Ciò l’aveva portata a disprezzarlo, soprattutto per le sue continue assenze lavorative, dove egli mascherava il rapporto con Luisa.

Marina e la figlia sua e di Marco, nella difficoltà di comprendersi, e accettarsi

Ad intervenire nel legame disfunzionale tra i due è lo psicoterapeuta di lei.
A inizio film si era intromesso, andando a trovare Marco nello studio dove lavorava. Si era preoccupato per l’incolumità della sua paziente, che mancava alla terapia da più di un mese, mentendo al marito. Si scoprirà, poi, che non era nient’altro che una bugia, come la sua famosa donazione del midollo. Così facendo, però, aveva infranto le regole della sua professione, raccontando a quest’ultimo cosa stava accadendo alla moglie.

Nonostante ciò, nasce tra i due un rapporto molto profondo, anche se dapprima Marco è diffidente ed evitante. Un po’ come tutti i pazienti che non riconoscono di avere un problema, che si ripercuote sui membri della famiglia.

L’importanza della terapia come soluzione per guarire

Nel libro che sto leggendo, ”Donne che amano troppo” di Robin Norwood, si parla proprio di sedute psicoterapeutiche. In particolare, del valore salvifico della terapia per pazienti nati e cresciuti in famiglie disfunzionali. Sono l’esempio per le loro future relazioni e matrimoni fallimentari.

Il discorso con lo psicoterapeuta

Lo psicologo spiega come due persone si scelgano, per perpetuare i loro schemi di negazione e di controllo familiari. Fanno diventare il partner una droga, in quanto per amarlo devono curarlo, senza curarsi. Questo è indice di rapporti infelici, dove i due all’inizio si trovano e si desiderano, mantenendo alto l’hype. Poi, però, il castello di sabbia crolla, mostrando tutte le fragilità sepolte da ambedue le parti.

Lì inizia il processo di svalutazione di uno dei due (in genere della moglie), soprattutto se lui torna sui suoi passi e prova a cambiare le cose. Per lei questo è un tradimento maggiore di quello reale. Ciò significa non poter più curare, essere presenti per persone un tempo emotivamente assenti o distanti, o dipendenti da droghe e alcool. Dunque, significa non poter più incarnare il ruolo svolto in famiglia fin da bambine.

Solo chi accetta di uscire dalla morsa del passato, riesce man mano a ricreare un ambiente salubre per i propri figli, ritrovare la serenità e l’intimità, e a iniziare ad amarsi davvero (guarire).

Cambiamento: Nuova fine, e nuovo inizio

Tornando al film, nel frattempo Adele cresce.
Marina, invece, decide di chiudere la relazione e di partire; si fa curare con dei farmaci all’estero. Marco segue la gravidanza indesiderata di sua figlia da solo, vivendo intanto altri due lutti: il primo è quello della madre, il secondo quello del padre.

La nipotina nasce, senza che si sappia chi sia il padre; tuttavia, l’adorata figlia Adele muore in un incidente. Marco continua a fare il suo dovere, questa volta di nonno, portando la bambina ovunque, anche al casinò.
Qui dove rincontra Duccio, il quale è diventato famoso per la sua iella. Questi lo avverte di evitare di fargli del male e di fargli perdere il denaro giocato. Marco non crede alle sue parole, e alla fine vince un’ingente somma di denaro. Duccio decide, infatti, di non portargli alcuna sfortuna.

Marco e la nipotina

Quasi disdegnando la vittoria, Marco fa un discorso basato sugli affetti e sull’accettazione della propria vita in tutti i suoi aspetti, positivi e negativi; cosa alla quale non aveva mai prestato così tanto attenzione. Tutti i presenti in sala rimangono in silenzio, sbigottiti. Dopodiché va via con la bambina in braccio, chiedendo di devolvere i soldi per riprendersi dei beni appartenuti ai genitori, che aveva venduto senza rimpianti alla morte di questi.

La storia con Luisa termina in malo modo, e lei inizia una relazione col fratello di Marco.
Questi già da piccolo lo aveva accusato della morte della sorella, odiandolo anche per la sua storia d’amore con Luisa. Lo psicologo continua a informarsi telefonicamente su come procede la vita di Marco, e al contempo dello stato di salute mentale della moglie.

La conclusione di una vita: Il riscatto emotivo

Alla fine, Marco si ammala di tumore al pancreas.
Si ritrova circondato da tutti i suoi più cari affetti, con la protezione di sua nipote, una bellissima donna che riesce a tenere unita la famiglia. La sua decisione finale è quella di morire volontariamente davanti a tutti, dopo una costellazione di eventi che lo hanno fatto piangere, ma anche crescere e maturare interiormente. È stato comunque amato da più persone, in modo diverso, anche con i suoi difetti di marito, di padre, di nonno e di fratello.

Ultimo, ma non per importanza, è l’intervento musicale a fine film del cantante Marco Mengoni, con la canzone ”Amore mio lontanissimo”. Descrive la mancanza dopo la perdita.

Parere personale sul film

Se consiglio questo film? Personalmente tantissimo.
Non ha deluso le mie aspettative, anzi, mi ha molto coinvolto e commosso.

Dal punto di vista della scenografia, le immagini possono risultare inizialmente un po’ cupe, e il ritmo lento, ma non stanca, anzi. Appassiona, perché il film in sé, pur trattando in parte l’argomento ”morte”, è molto vivo, e scuote interiormente fino all’ultimo secondo.


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