Musica

“Xenoverso” di Rancore – Testo e analisi della title track

Xenoverso è la title track dell’ultimo album di Rancore.
Ecco il testo, accompagnato da un’analisi approfondita.

Il testo

Ti ricordi l’inferno dei vecchi tempi d’oro
Quando gli occhi avevano uno schermo condiviso
Ci nutrivamo di artifici e pregavamo in coro
In nome di una libertà che ci aveva ucciso
Tutto nero, tutto rosso, poi è arrivato un toro
Ci svegliammo seminudi sotto un promontorio
Da quel giorno questo posto è detto Purgatorio
Tra l’Inferno e il Paradiso resta il contraddittorio
Ti ricordi la festa, sembrava un grande coro
Una favola tra i fili di un burattinaio
Ogni uomo era una rosa per il mondo nuovo
Un mortorio vivevamo anche se in un vivaio
Quante volte avrò pensato fosse un grande scherzo
Eravamo pieni d’oro, ma in un manicomio
Pane d’angeli che lievitano il pandemonio
Quando poi di me si sono presi un pezzo
Perso, io mi sento perso
Vivo nel continuo dubbio di uno xenoverso
Ma non posso dirti dove è
Né come è, né cosa c’è, né cosa penso
Né che cosa sia lo xenoverso
Perso, io mi sento perso
Vivo nel continuo dubbio di uno xenoverso
Ma non posso dirti dove è
Né come è, né cosa c’è, né cosa penso
Né che cosa sia lo xenoverso
Purgatorio, tutti con la bava
Noi ci facevamo troppo e lui che ci purgava
Intonava tutto quanto sotto di un’ottava (giù)
Ricantava la sua lode e poi ci ricattava
E devi stare attento quando accorci le parole (eh)
Tra ogni lettera c’è un fiore, te l’avevo detto
Ma chi calpestò parole rovinò le aiuole
Quindi le chiudemmo una per una dietro un cancelletto (hashtag)
Mio, Gesù, Gesù, mio, sei tu, no basta
La cenere che casca
E parlavamo intorno al fuoco al centro di una piazza
Ora fumiamo zitti zitti con il fuoco in tasca
E adesso sono perso davvero in questo sentiero
E appena arrivo al porto sento un senso di cielo
Per ogni singolo mondo sommerso un veliero
E dietro ogni angolo c’è un universo straniero
Perso, io mi sento perso
Vivo nel continuo dubbio di uno xenoverso
Ma non posso dirti dove è
Né come è, né cosa c’è, né cosa penso
Né che cosa sia lo xenoverso
Perso, io mi sento perso
Vivo nel continuo dubbio di uno xenoverso
Ma non posso dirti dove è
Né come è, né cosa c’è, né cosa penso
Né che cosa sia lo xenoverso
Se conosci il Paradiso dimmi perché tremo
Vi guardavo in quella danza nel buio immenso
La guardavo in lontananza ed ero io l’alieno
Perché stavo ancora chiuso nello xenoverso
Devo scegliere di uscire da questa prigione
Senza avere più ragione, abbandonando il senso
Se decidi di fiorire si fa già stagione
Se decidi di ferire si fa buio denso
L’universo conosciuto è solo una regione
Una colonia conquistata solo dal consenso
E un vampiro può nascondersi nelle persone
Può nascondersi in un luogo come in un contesto
Quante volte ci hanno morso, che cos’è successo?
Chiederò perdono a me, riprenderò me stesso
Quando vedo il tuo sorriso trovo guarigione
L’umiltà che serve per vederlo mi salverà?
Perso, io mi sento perso
Vivo nel continuo dubbio di uno xenoverso
Ma non posso dirti dove è
Né come è, né cosa c’è, né cosa penso
Né che cosa sia lo xenoverso

Le parole di Rancore

La canzone “Xenoverso” dovete immaginarvela come una persona che nel 3000 racconta i nostri giorni, però è passato talmente tanto tempo che l’accendino è “fuoco in tasca”, che le parole sono dietro a un cancello che però è un cancelletto, che è un hashtag. […] Ho dovuto vedere le cose con un occhio esterno, non è stato semplice.

Rancore, durante l’intervista rilasciata agli Arcade Boyz

L’analisi

Xenoverso” è, senza dubbio, la canzone più complessa dell’album.
Non tanto per il linguaggio particolarmente complesso, come avveniva in Questo Pianeta o Quando Piove, o frasi sconnesse tra di loro, come nel caso di D.A.R.K.N.E.S.S.. Né per una serie troppo fitta di citazioni, come in Arlecchino e Federico. Xenoverso utilizza, al contrario, un linguaggio piuttosto comune e segue un filo narrativo già abbastanza comprensibile dopo due o tre ascolti.

Ciò che rende realmente complessa questa canzone è il fatto che, differentemente rispetto a Freccia, non ci viene data alcuna chiave interpretativa per comprendere realmente quanto viene narrato.
Sentiamo un tizio parlare di fatti e concetti a noi familiari (Inferno, Purgatorio, Paradiso, feste, libertà, porti, vampiri, hashtag etc.), ma non capiamo quando, dove e di cosa si stia parlando. Ci mancano il contesto e le coordinate spazio-temporali, necessarie per capire il discorso. Così proviamo un forte senso di disorientamento e smarrimento.
Ma anche questa sensazione non è casuale. Rancore vuole far provare all’ascoltatore quello stesso spaesamento provato dal Cronosurfista di fronte allo Xenoverso. Vuole far capire cosa si prova a essere totalmente sbalzati fuori contesto, privati della capacità di comprendere quello che si ha attorno. Ci fa capire quanto le nostre conoscenze e concetti pregressi siano fondamentali per comprendere la realtà attorno a noi.

A causa di questa indeterminatezza, anch’io ho brancolato nel buio durante i primi 10 ascolti.
Poi, quando credevo di essermi ormai perso e incapace di ritrovare la direzione giusta per comprendere meglio il significato della canzone, Rancore è intervenuto.
Durante l’intervista concessa agli Arcade Boyz, mi ha gettato un piccolo salvagente. Ha spiegato infatti che il narratore della canzone va visto come un uomo del futuro, che guarda alla nostra contemporaneità come un mondo lontano e “appassito”. Così, utilizzando questa chiave di lettura, sono tornato sul testo della canzone e ho provato nuovamente a risolvere il rompicapo. Ecco alcune delle mie considerazioni.

Strofe

Le strofe raccontano di un uomo che vive a metà tra tre mondi, molto diversi tra di loro: Inferno, Purgatorio e Paradiso. Ovviamente questi non corrispondono esattamente con gli scenari dell’aldilà immaginati da Dante. Anzi, Rancore utilizza questi tre termini solo in senso metaforico.

Le tre località ultraterrene corrispondono, in realtà, con contesti concretamente ed emotivamente terrestri. Sono luoghi totalmente slegati dal concetto di morte corporea. Vi è, invece, un legame con la morte spirituale degli esseri umani. Uno stato che ha portato gli uomini ad essere solamente delle pallide ombre di quello che erano in passato.

Inferno, Purgatorio e Paradiso sono dunque i tre luoghi concettuali fondamentali della canzone.
Ma non sono suddivisi, come magari ci si potrebbe aspettare, con una divisione meccanica del tipo una strofa-un luogo. Sarebbe stato troppo semplice...

Nel testo di Rancore, i tre luoghi si compenetrano e collidono continuamente l’uno con l’altro.
Creano un confronto che mette in crisi il tradizionale giudizio di valore dato a questi concetti. Fa in modo che Inferno e Purgatorio si confondano tra di loro, e siano difficilmente preferibili l’uno all’altro.

Ma non solo.
Con un’analisi più accurata, possiamo notare che nel testo di Rancore, Inferno, Purgatorio e Paradiso smettono di essere solamente luoghi. Divengono, con evidente ribaltamento delle coordinate spazio-temporali, anche e soprattutto dei periodi storici.
È per questo motivo che non c’è una netta divisione tra di loro. All’interno della storia, le epoche e le culture cambiano gradualmente e si mescolano continuamente, finché, a un certo punto, non prevale una delle forze in gioco.

Così, possiamo dire che le strofe non vanno analizzate secondo la precisione della divisione spaziale (Inferno, Purgatorio e Paradiso). Piuttosto attraverso la progressività del criterio temporale (Inferno, passaggio dall’Inferno al Purgatorio, Purgatorio, Passaggio dal Purgatorio al Paradiso).

Inferno

Ti ricordi l’inferno dei vecchi tempi d’oro
Quando gli occhi avevano uno schermo condiviso
Ci nutrivamo di artifici e pregavamo in coro
In nome di una libertà che ci aveva ucciso
[…]
Ti ricordi la festa, sembrava un grande coro
Una favola tra i fili di un burattinaio
Ogni uomo era una rosa per il mondo nuovo
Un mortorio vivevamo anche se in un vivaio
Quante volte avrò pensato fosse un grande scherzo
Eravamo pieni d’oro, ma in un manicomio
Pane d’angeli che lievitano il pandemonio
Quando poi di me si sono presi un pezzo

Il passato di cui si parla nel testo è la nostra contemporaneità.
Ci sono le feste, gli schermi condivisi, il benessere, visti dalla prospettiva di una persona che vive in un’epoca molto lontana dalla nostra. Di conseguenza, ogni evento che noi stiamo vivendo viene visto da qualcuno che sa già come andrà a finire. Ha una visione più oggettiva di un’epoca che noi fatichiamo a giudicare, perché totalmente immersi in essa.

Così sa già che quello che stiamo vivendo, per quanto bello e apparentemente “idilliaco”, è in realtà un inferno. Un inferno d’oro, ma pur sempre un inferno. Tale contraddizione viene ben resa attraverso termini tra loro opposti, che vengono continuamente accostati in versi che sfruttano a pieno il potenziale immaginifico della figura retorica dell’antitesi.

Passaggio dall’Inferno al Purgatorio

Tutto nero, tutto rosso, poi è arrivato un toro
Ci svegliammo seminudi sotto un promontorio
Da quel giorno questo posto è detto Purgatorio
Tra l’Inferno e il Paradiso resta il contraddittorio

[…]

Purgatorio, tutti con la bava
Noi ci facevamo troppo e lui che ci purgava

Intonava tutto quanto sotto di un’ottava (giù)
Ricantava la sua lode e poi ci ricattava
E devi stare attento quando accorci le parole (eh)
Tra ogni lettera c’è un fiore, te l’avevo detto
Ma chi calpestò parole rovinò le aiuole
Quindi le chiudemmo una per una dietro un cancelletto (hashtag)
Mio, Gesù, Gesù, mio, sei tu, no basta
La cenere che casca
E parlavamo intorno al fuoco al centro di una piazza
Ora fumiamo zitti zitti con il fuoco in tasca

Ma cosa è successo dopo? Perché il nostro archeologo ha una visione così negativa della nostra epoca?
In realtà non viene spiegato esattamente cosa sia cambiato.
Già dalla prima strofa veniamo a sapere che, a un certo punto, il nostro mondo è finito ed è iniziata una nuova epoca, chiamata Purgatorio. A metà tra Inferno e Paradiso. Quindi, probabilmente, una società con (più o meno) lo stesso obiettivo del Purgatorio dantesco: eliminare le imperfezioni umane, in vista di un paradisiaco perfezionamento.

Questo è proprio ciò che ci viene narrato all’inizio della seconda strofa.
Si cerca di imporre un ordine al disordine umano, eliminando ciò che è imperfetto e manchevole. Per esemplificare questo tipo di cambiamento vengono utilizzati due diverse debolezze umane: quella fisica, rappresentata dall’assunzione di droghe, e quella verbale. L’uomo viene dunque perfezionato in ambito sia fisico che mentale, togliendogli sostanzialmente la possibilità di sbagliare. Si ottengono così degli esseri moralmente perfetti, ma, allo stesso tempo, soli e svuotati della propria umanità, come rivelano i seguenti versi:

E parlavamo intorno al fuoco al centro di una piazza
Ora fumiamo zitti zitti con il fuoco in tasca

Purgatorio

E adesso sono perso davvero in questo sentiero
E appena arrivo al porto sento un senso di cielo
Per ogni singolo mondo sommerso un veliero
E dietro ogni angolo c’è un universo straniero

[…]

Devo scegliere di uscire da questa prigione
Senza avere più ragione, abbandonando il senso
Se decidi di fiorire si fa già stagione
Se decidi di ferire si fa buio denso
L’universo conosciuto è solo una regione
Una colonia conquistata solo dal consenso
E un vampiro può nascondersi nelle persone
Può nascondersi in un luogo come in un contesto
Quante volte ci hanno morso, che cos’è successo?

Il Purgatorio è il mondo in cui adesso vive il protagonista, una volta concluso il periodo di passaggio.
Non sappiamo molto delle caratteristiche di questa società, al di là di quello che viene detto riguardo al momento di transizione. Sappiamo solamente che il protagonista prova un forte sentimento di smarrimento di fronte alla sua realtà. Si sente perso, smarrito, non sa dove andare e si ritrova a vagare nelle vicinanze di un porto, alla disperata ricerca di una via di fuga.

Qui si trova di fronte a due elementi caratterizzati da un’immensa illimitatezza: il mare e il cielo.
Due luoghi da sempre misteriosi e, per questo, associati alla possibile esistenza di mondi sconosciuti (come per esempio il Paradiso dantesco o la famosa Atlantide). Questi territori senza fine rievocano nella sua mente un pensiero, un pensiero fisso che da tempo lo tormenta e non gli dà tregua, quello della possibilità che esistano altri mondi oltre al nostro, quello della possibilità che esista un universo altro dal nostro, lo Xenoverso.
Tali sentimenti lo spingono inevitabilmente a pensare a una possibile fuga da una realtà che non lo soddisfa:

Devo scegliere di uscire da questa prigione
Senza avere più ragione, abbandonando il senso
Se decidi di fiorire si fa già stagione
Se decidi di ferire si fa buio denso

E per farlo, capisce di dover abbandonare il piano del pensiero e del dubbio, che lo mantengono in uno stato di immobilismo continuo. Ciò che infatti ha scoperto il nostro protagonista – l’esistenza di infiniti mondi al di là del nostro – è qualcosa di destabilizzante e difficile da accettare (non a caso prova molteplici dubbi e indecisioni). Ma, nel momento in cui sceglie di crederci fino in fondo, è obbligato a scegliere se utilizzare tale conoscenza per migliorare la propria vita (“fiorire”), realizzando che è possibile migliorare la propria condizione e superare lo stato di infelicità in cui si trova, oppure farsi schiacciare da essa, convincendosi che la propria vita e quella altrui siano irrilevanti in un universo così ampio.

Lo Xenoverso

L’universo conosciuto è solo una regione
Una colonia conquistata solo dal consenso

Dopo aver parlato delle due possibili decisioni che si presentano di fronte a lui, il nostro protagonista spiega cosa sia per lui lo Xenoverso. O meglio spiega cosa sia l’universo, facendoci allo stesso tempo comprendere qualcosa in più sullo Xenoverso.
L’universo che noi conosciamo è solamente una “regione”, una parte della realtà esistente. Questa parte è fortemente basata sul “consenso“. Ciò vuol dire che l’universo è tale solo nel momento in cui chi lo percepisce è d’accordo sulle regole alla base della sua costruzione e sugli oggetti che lo costituiscono. Di conseguenza, tutto ciò su cui gli esseri viventi non concordano è Xenoverso.

Un vampiro?

E un vampiro può nascondersi nelle persone
Può nascondersi in un luogo come in un contesto
Quante volte ci hanno morso, che cos’è successo?

Parlando dell’universo, emerge però un’altra verità, che si riconnette al verso della prima strofa “quando poi di me si sono presi un pezzo“: il consenso non è qualcosa di fisso o di eterno, è stabilito dagli esseri umani, che fissano le regole della società.

Tuttavia tali regole non sempre sono pensare per essere a favore di tutte le persone.
Spesso sono studiate per sacrificare qualcosa in nome di un particolare obiettivo, come ottenere un’umanità moralmente perfetta, o guadagnare molto denaro. Così le istituzione e il contesto sociali possono trasformarsi in veri e propri vampiri, in grado di sottrarre le anime degli individui, pur di giungere allo scopo prefissato.

Tale presa di coscienza porta inevitabilmente a un’agghiacciante domanda: se ogni cosa può essere un vampiro, “quante volte ci hanno morso, che cos’è successo?”.
La “Purga” ha eliminato (almeno in apparenza, ricordiamoci che ora “fumano zitti zitti”) i difetti degli esseri umani, ma, allo stesso tempo li ha progressivamente privati della loro umanità: così essi sono divenuti gusci vuoti senza sangue (contenitore dell’anima e simbolo della vita secondo molte culture). Il trascorrere del tempo ha reso tale status così normale, che le caratteristiche del mondo precedente (l’Inferno) sono ormai lontane e prive di significato.

Agli occhi del protagonista, inoltre, pare ormai impossibile comprendere esattamente cos’abbia allontanato l’umanità da quella realtà antica, portandola poi ad essere l’ombra di se stessa.
Per questo motivo, è tormentato da una lacerante domanda:

Quante volte ci hanno morso, che cos’è successo?

(Eventuale) Passaggio dal Purgatorio al Paradiso

Se conosci il Paradiso dimmi perché tremo
Vi guardavo in quella danza nel buio immenso
La guardavo in lontananza ed ero io l’alieno
Perché stavo ancora chiuso nello xenoverso
[…]
Chiederò perdono a me, riprenderò me stesso
Quando vedo il tuo sorriso trovo guarigione
L’umiltà che serve per vederlo mi salverà?

Dopo l’Inferno e il Purgatorio, si affaccia alla mente del protagonista anche la possibilità di un eventuale Paradiso.

Questo appare però ancora molto lontano e difficile da raggiungere, tanto che il narratore trema di fronte al balzo che dovrà fare per poterci arrivare. Dovrà infatti mettere in atto quanto compreso in precedenza. Dovrà abbandonare il dubbio che lo ha tenuto imprigionato a lungo e compiere due diverse azioni. Prima dovrà chiedere perdono a se stesso, per aver indugiato in questa paralisi improduttiva, e, in seguito, dovrà riprendere possesso di sé, riconquistando il controllo della propria esistenza.

Il sorriso dell’altro

Quando vedo il tuo sorriso trovo guarigione
L’umiltà che serve per vederlo mi salverà?

Il testo è rivolto dal narratore a un’altra persona, su cui però abbiamo pochissime informazioni.
Dalla prima strofa possiamo intuire che è una persona a lui vicina, grazie all’uso di un confidenziale “Ti ricordi”.
In seguito, con gli ultimi versi della quinta strofa, otteniamo qualche altro indizio, intuendo che probabilmente sta parlando a una persona amata. Non sappiamo se sia uomo o donna, ma, personalmente, sono abbastanza convinto che si tratti di una donna.

L’idea infatti del sorriso salvifico della donna, in grado di condurre in Paradiso, è un’idea molto comune all’interno dello Stilnovismo, ovvero la scuola poetica a cui apparteneva Dante Alighieri. Non bisogna inoltre dimenticare che, a guidare Dante in Paradiso, non è Virgilio, ma Beatrice, donna dal nome parlante che lo condurrà verso la salvezza. Il sorriso di quest’ultima viene infatti definito in questo modo all’interno del XV canto del Paradiso:

Ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso
tal, ch’io pensai co’ miei toccar lo fondo
de la mia gloria e del mio paradiso.

(Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, XV canto vv. 34-36)

L’interlocutore del nostro protagonista è dunque una Beatrice, con il compito di aiutarlo a uscire da una Selva Oscura, in cui ormai si è perso da molto tempo.

Ovviamente ciò non vuol dire che a fare tutto il lavoro debba essere l’altra persona.
Così come avviene nella Divina Commedia, anche in Xenoverso è innanzitutto il protagonista a dover agire attivamente, deponendo la superbia del “io non ho bisogno d’aiuto” e accettando con umiltà l’aiuto offerto dall’altro.

Ritornello

Perso, io mi sento perso
Vivo nel continuo dubbio di uno xenoverso
Ma non posso dirti dove è
Né come è, né cosa c’è, né cosa penso
Né che cosa sia lo xenoverso
Perso, io mi sento perso
Vivo nel continuo dubbio di uno xenoverso
Ma non posso dirti dove è
Né come è, né cosa c’è, né cosa penso
Né che cosa sia lo xenoverso
Il ritornello è l’evidente ritratto della crisi interiore del protagonista.
Egli, così come Dante, che diceva all’inizio della Commedia
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.
(Dante Alighieri, Inferno, Canto I, vv.1-3)
si trova a un punto morto della propria vita.
Attraverso le realtà di confine, come il mare e il cielo, scopre la possibilità dell’esistenza di altri mondi e, guardando al passato, prende coscienza della misera condizione della società in cui vive. Si trova, così, intrappolato, indeciso, sospeso tra ciò che è, ciò che è stato e ciò che potrebbe essere.
Quindi, in una realtà che sembra destinata a non cambiare mai, lui scopre il passato e il futuro, periodi totalmente distanti dal mondo in cui vive. In un primo momento, si ritrova quindi paralizzato, perso nel dubbio che possano essere solamente sue fantasie. Ma, in seguito, capirà di dover provare a uscire da questo stato di paralisi e provare ad agire per cambiare la propria esistenza, anche avvalendosi dell’aiuto della persona che ama.
In tale decisione ha un ruolo fondamentale il confronto con realtà distanti dalla realtà in cui vive.
Non solamente lo Xenoverso, ma anche l’epoca storica dell’Inferno, che gli fa comprendere quanto sia peggiorata la condizione umana. Rancore vuole dunque mostrarci come il contatto con il diverso possa, se elaborato correttamente, spingerci a rivedere i principi su cui basiamo la nostra vita, portandoci a valutare la possibilità di cambiare la nostra vita per migliorarla.

Conclusione

Xenoverso è una canzone complessa, ma fondamentale per comprendere i concetti teorici alla base dell’intero album. Infatti, da buona title track, contiene al suo interno tutti i concetti fondamentali del disco. L’importanza della storia e della memoria, i possibili mondi alternativi, la progressiva uscita da una realtà grigia e poco soddisfacente per il singolo. Tutto questo è presente in un testo che mette in collegamento Dante e un futuro dispotico, in una paradossale reinterpretazione di alcuni concetti danteschi, che ricorda l’interessante operazione alla base di X agosto 2048, altro capolavoro dell’album.

Per oggi è tutto,
Spero che quest’analisi vi sia piaciuta,

Al prossimo articolo.


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