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MIELEMEDICINA: analisi del nuovo album di Anastasio (Parte 2/3)

Analizziamo i tre pezzi centrali del nuovo album di Anastasio.

Continuiamo la nostra analisi del nuovo album di Anastasio. Qui trovate il link alla prima parte.
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Simbolismo

Come suggerito dal titolo, il linguaggio utilizzato in questo testo è molto più criptico rispetto a quello dei testi precedenti. C’è però un singolo concetto attorno a cui ruotano tutti i simboli presenti all’interno della canzone: quello della Morte di Dio, che dunque va preso come punto di riferimento per l’interpretazione dell’intero testo.

Il testo

Le colonne sono vive
Il tempio respira, sa come soffrire
Il rovo che lo avvolge in una spira di spine
Gli lacera la pelle, ma lo ispira di stile
Lui sfila e sorride, vestito di invidie
L’uomo in equilibrio sopra il filo sottile
La folla in visibilio che ora vuole soffrire
Lo vuole vedere morire
Ma l’uomo cammina sul filo leggero
È un bambino che dorme supino nel cielo
Non un pensiero alla folla che scalpita
E aspetta soltanto che cada nel nero
L’uomo non sentе il brusio
Sa solo che quello è il suo posto
Annunciata la morte di Dio
Adеsso si lotta per prenderne il posto
Ma vennero in tanti, senza decoro
Sovrani del mondo, ma schiavi dell’ego
Frotte di re con imperi di lego
Seduti in milioni all’identico trono
Venduti milioni di posti a sedere
Al funerale di nostro Signore
Bimbi curiosi, venite a vedere
La tomba dorata del Padre che muore
Ma resta un dettaglio mica da poco
Non vedi che portano un feretro vuoto?
Calma, dateci il corpo
Se Cristo è morto, vogliamo la salma

Cosa dice Anastasio

È forse il pezzo più difficile da spiegare – racconta Anastasio – dove il tema centrale è la morte di Dio, guardato dagli uomini con ammirazione come si osserva un funambolo (“l’uomo che cammina”) ma al contempo con il desiderio di vederlo cadere per rimpiazzarlo. È un brano molto cupo, dai toni blu.

La mia interpretazione

Lo scenario inizialmente rappresentato è questo: da un lato un uomo solo, che sappiamo dalle parole di Anastasio essere Dio, cammina su un filo sospeso mantenendo uno stato di calma e di assoluta tranquillità, poiché perfettamente consapevole del proprio ruolo nell’universo; dall’altro una moltitudine di persone scalpita attorno a lui e aspetta la sua morte, producendo un mormorio di attesa.
Tale accostamento evidenzia una forte contrapposizione tra l’atteggiamento divino e quello umano: l’uomo è sempre insoddisfatto della propria posizione e continuamente guidato dal desiderio, mentre la divinità è calma e priva di preoccupazioni.

Questa situazione di stallo iniziale, in cui l’essere umano è solamente spettatore dell’azione divina, viene presto interrotta dall’azione di qualcuno che annuncia a tutti la morte di Dio. Dettaglio interessante è, in questo punto, il fatto che sono delle parole a influenzare le successive azioni degli uomini. Ciò che accade in seguito è dunque la rappresentazione di quanto già spiegato nella precedente canzone “Babele”: le parole influenzano e modificano la concezione del mondo dell’uomo, inducendolo ad agire e a cambiare il mondo di conseguenza. E infatti subito dopo gli esseri umani abbandonano il ruolo di spettatori e i più potenti tra di loro cominciano ad affannarsi per prendere il posto di Dio.
Tuttavia il loro affaccendarsi è solamente caotico e insensato. Ognuno di loro appare infatti guidato esclusivamente dal proprio egoismo e per questo inadatto al ruolo precedentemente occupato da un dio che, sin dai primi versi, si era mostrato totalmente calmo e incurante del mondo attorno a sé.

L’ultima scena ci racconta i successivi risvolti della vicenda: la notizia della morte di Dio si è diffusa ormai ovunque e tutti accorrono per celebrare il funerale della divinità. La cerimonia ha però una svolta inaspettata: quando si apre la bara si scopre l’assenza del corpo e la conseguente impossibilità di attestare con certezza la morte di Dio.

Le parole di chi ha annunciato la morte di Dio si rivelano per quello che sono: delle mere e insignificanti parole. Dio in realtà non è ancora morto, o perlomeno la sua effettiva morte non può essere accertata, e l’essere umano scopre improvvisamente di aver basato la nuova concezione della propria esistenza su una menzogna.

I versi chiave

Annunciata la morte di Dio
Adеsso si lotta per prenderne il posto
Ma vennero in tanti, senza decoro
Sovrani del mondo, ma schiavi dell’ego
Frotte di re con imperi di lego
Seduti in milioni all’identico trono

[…]

Ma resta un dettaglio mica da poco
Non vedi che portano un feretro vuoto?
Calma, dateci il corpo
Se Cristo è morto, vogliamo la salma

L’uomo annuncia la morte della divinità, ma fatica a separarsi dall’idea di Dio. Nel momento in cui dice che Dio è morto non lo fa perché vuole emanciparsi del tutto da un controllore onnipotente e divenire così totalmente libero, ma solo perché vuole prenderne il posto, al fine di imporre il proprio dominio sul resto del genere umano. Ma in realtà non potrà mai riuscire a sostituirlo, perché Dio non può morire, sia che esista veramente sia che esista solo come parto della mente umana.

Nel primo caso infatti non è possibile che ciò accada per evidenti ragioni: Dio è un essere incorporeo e assoluto e non può essere destinato a qualcosa a cui può andare incontro solamente un essere finito come l’uomo. Anche nel Nuovo Testamento, Cristo rimane morto solamente tre giorni e, in seguito alla risurrezione, i suoi discepoli trovano la sua tomba vuota (Luca 24,1-5).

Nel secondo caso invece Dio non può morire in quanto idea forgiata dall’essere umano e quindi impossibile da eradicare finché qualcuno continuerà a concepirne l’esistenza.  Anche quando Nietszche parla della Morte di Dio, all’interno dell’aforisma 125 della Gaia Scienza, non fa riferimento a una totale distruzione dell’idea di Dio (il filosofo tedesco parla a sua volta della possibilità che gli esseri umani si sostituiscano a Dio), ma solamente all’abbandono progressivo della concezione cristiana di divinità e di tutti quei valori che permettevano all’uomo di avere una visione stabile della realtà, avendo il Dio cristiano come garante.

Il tentativo dell’uomo, sin dall’annuncio della Morte di Dio, è dunque destinato a essere fallimentare. Dio non può morire: è l’essere umano a tentare di abbassarlo al proprio livello per poterlo sostituire, affibbiandogli un attributo che certamente non gli appartiene, ovvero quello di mortale. Dio infatti non è un essere corporeo.
L’essere umano gli attribuisce una forma umana perché non può concepirlo in altro modo, ma non potrà mai trovarne il cadavere.  Non potrà mai avere la certezza che Dio sia effettivamente morto. Anzi direi piuttosto che non potrà nemmeno mai avere la certezza dell’effettiva esistenza di Dio.

E infatti l’esortazione finale presente nella canzone “Calma, dateci il corpo/ Se Cristo è morto, vogliamo la salma” non avrà e non potrà avere alcun tipo di risposta.

Tubature

Ispirato al filone del jazz-rap e in particolare a For free? di Kendrick Lamar, Tubature è il brano più folle e sperimentale dell’album. È stato prodotto insieme al famoso pianista jazz Stefano Bollani, che ha creato per il pezzo una base a metà tra il jazz e lo swing. Su una base così eclettica, il testo di Anastasio non poteva che essere costruito in maniera caotica sia a livello formale che a livello di contenuti, e così ci troviamo di fronte a un brano nel quale numerosi argomenti si incrociano e si intrecciano l’uno con l’altro in un’alternanza continua e confusionaria, come le Tubature appunto.

Il testo

Un ingorgo di trent’anni
Di ricordi sepolti nei dettagli
E le mani ed i volti, ed i mali minori, vetrine e negozi di ventagli
Dove vanno a finire se chiudo gli occhi
Gli archivi segreti dei miei ricordi?
Fascicoli interi di scarabocchi e di fogli vuoti e di nomi ignoti
Ritornano a galla mille dettagli
Mescolati come esperimenti di scienziati pazzi
Come sogni folli che non ho sognato, allora chi I’ha fatto?
E suona il violino scordato della memoria

Nella discarica della storia
Vecchi fantasmi morti di noia
Scritte sbiadite sui banchi di scuola
Il pazzo che ride con l’acqua alla gola
Gridalo: “Questo bimbo a chi lo do?”
Questo bimbo a chi lo do?
Facciamo, facciamo che se lo prende
Il mostro nascosto dietro le tende
Ma attenzione, se il padrone tira lo sciacquone
E allora scivolo nel tubo, grazie del disturbo
Il codice d’accesso è il vortice nel cesso
E questo e solo questo è vero, e il resto è tutto finto
Guarda pure il labirinto fitto delle tubature
Canali, scali, schiavi nelle fognature
Fanno congetture mentre
La corrente è sempre più lontana dalla sorgente
La nazione in mano al sergente, le persone sono contente
Presidente, presidente, non pianga, la legge non lo consente
Pronto? Call center?
Ho detto che non voglio niente, sono a posto

Giro, giro sopra il girarrosto
Giro-giro-girotondo e quando casca il mondo
Meglio che mi sposto lì, sì, certo ho visto
Cristo con gli apostoli in concerto
Come è stato? Complicato
Dove andiamo? È complicato
Cosa siamo? È complicato
Dove siamo? È complicato

Ma non c’è soluzione per quelli come me
E non c’è soluzione per quelli come me
Non c’è soluzione per quelli come me
E non c’è soluzione per quelli come me

Che cosa credi?
Che al mondo esista solo ciò che tocchi e vedi?
Che il vaso sulla finestra è tanto più reale
Quanto più fa male se ti cade in testa?
Conosco mostri immaginari molto più reali di ogni tua certezza
Insetti che spaccano il parabrezza
Folletti e animaletti di pezza
Lo gnomo della monnezza è immaginario, è vero
Ma non più né meno del tuo dinero
Del fatturato e delle oscillazioni di mercato
Come ti poni? Com’è che non credi agli gnomi
Però credi ai mercati d’azioni?
Non capisci? Siamo tutti stregoni

E non c’è soluzione per quelli come te
Non c’è soluzione per quelli come te
Non c’è soluzione per quelli come te
Non c’è soluzione per quelli come te

La mia interpretazione

Come ho già detto, il testo non è adatto solo a livello formale ad accompagnare una base jazz/swing, ma anche a livello di contenuto. Attraverso tutta una serie di considerazioni affastellate l’una sopra l’altra, Anastasio parla del caos mnemonico che caratterizza la nostra società e il nostro cervello. Sono infatti infiniti gli oggetti e le esperienze che viviamo ogni giorno e che si uniscono e combinano dentro di noi, andando a costruire la nostra identità attraverso dettagli insignificanti che riemergono casualmente all’interno dei nostri pensieri.

Queste però sono solamente alcuni dei primi concetti affrontati nel testo. Il flusso, infatti, non si ferma qui e scende sempre più in profondità arrivando a scontrarsi con alcune delle questioni fondamentali dell’esistenza, di fronte alle quali Anastasio non riesce ad accontentarsi di semplici soluzioni poiché “non c’è soluzione per quelli come me”. Quelli come lui sono infatti incorreggibili: vedono i molteplici strati dell’esistenza e si perdono tra le infinite pieghe del reale, rimanendo sempre irrequieti e incapaci di trovare una soluzione che metta in pace il loro animo.

Un esempio di questa sua differente capacità di percepire lo troviamo nella seconda strofa, analizzata nei “Versi chiave”.

I versi-chiave

Lo gnomo della monnezza è immaginario, è vero
Ma non più né meno del tuo dinero
Del fatturato e delle oscillazioni di mercato
Come ti poni? Com’è che non credi agli gnomi
Però credi ai mercati d’azioni?
Non capisci? Siamo tutti stregoni

Anastasio interpella il proprio ascoltatore e lo sfida a mettere in discussione il proprio concetto di realtà. Noi tutti diamo per scontato che alcuni esseri non esistano solo perché inventati dalla nostra immaginazione. Eppure non mettiamo in dubbio l’esistenza di entità come la borsa e il denaro, il cui valore è in realtà a sua volta qualcosa di immaginario e di prestabilito dall’uomo. Tale contraddizione porta Anastasio all’esclamazione finale: “Non capisci? Siamo tutti stregoni”, dove, parlando di stregoni, fa riferimento alla capacità generativa della parola (già citata in “Babele”) e alla possibilità che attraverso l’eloquio ciascuno di noi possa creare delle idee che poi acquistino vita propria, modificando la nostra vita e quella degli altri.

Cosa dice Anastasio

In questo brano le parole vogliono creare un turbine: il tema è quello del mondo, dell’immaginario che è tanto reale quanto il mondo vero

Magari

Magari è l’altro pezzo autobiografico dell’album. Continua infatti la narrazione portata avanti con Assurdo, di cui costituisce sostanzialmente il seguito.

Il testo

Alla fine mi sono venduto il cuore
Era pesante era vano era pieno di buchi
L’ho guardato allontanarsi con due uomini muti
L’ho rimpianto per un attimo poi tanti saluti
E adesso non mi trema più la voce
Persino i miei pensieri vanno più veloce
Adesso ho chiuso con le lacrime
Che mi distraggono
Le rare volte che c’ho voglia di combattere
Che tanto i sentimenti sono sentinelle viscide
Strisciano dentro e te le senti nelle viscere
Lasciano segni come i denti delle bisce
Tu che dici che finisce ma chi speri di convincere
Ho deciso di vincere la paura togliere la sicura
E mollare tutto quello che mi tratteneva
Buttare i fiori finiti nella spazzatura e aspettare primavera

A cosa serve moltiplicare una goccia d’acqua e chiamarla mare
E sperare che
Magari
A cosa serve gonfiare il petto
Fare l’esperto con la speranza che piaccia a te
Seh magari

Ed Io non sapevo capirvi mi sembravate matti
A soffrire solamente dei dolori esatti
A mettere firme sigilli
Su articoli da critici ai concerti dei grilli
Ma i grilli mica suonano per voi
E tanto non potete capirli
Perché in tutti quei discorsi che fate se togliete voi stessi
Non sapreste che dirvi
E vi vendevo il cuore soltanto per somigliarvi
E campare come il solo sulla Terra
Ma non sapevo farli quei sorrisi da bastardi
E mi ero rotto il cazzo di quell’ironia di merda
Perché mi piace il vetro solamente quando taglia
E ho nostalgia dell’acqua pure mentre annego
Perché mi piace il santo ma solo mentre inciampa
E mi piace pure il sangue ma solo quello vero
E tu prova a fare a meno del cuore
Il mondo sarà brullo e strano
La carezza sognata è un miracolo azzurro
E quella avuta è solo un vento di mano

A cosa serve moltiplicare una goccia d’acqua e chiamarla mare
E sperare che
Magari
A cosa serve gonfiare il petto
Fare l’esperto con la speranza che piaccia a te
Seh magari

A cosa serve moltiplicare una goccia d’acqua e chiamarla mare
E sperare che
Magari
A cosa serve gonfiare il petto
Fare l’esperto con la speranza che piaccia a te
Seh magari

La mia analisi

La prima strofa presenta una svolta narrativa inedita rispetto a quanto detto in “Assurdo”. In quest’ultimo pezzo Anastasio diceva di aver fermato il chirurgo che stava per togliergli il cuore: tale decisione rappresentava la sua scelta di accettare dolori e gioie della vita, pur essendo consapevole dei rischi a cui potrà andare incontro durante l’esistenza.

L’inizio di Magari ci rivela però che questo proposito non è durato a lungo: alla fine ha scelto di vendere il cuore e allontanarsi così del tutto dagli ostacoli che le emozioni opponevano tutti i giorni. In questo modo ha ottenuto la capacità di pensare più lucidamente ed essere più efficiente e meno emotivo nella vita di tutti i giorni. Tale sacrificio non gli ha però portato solamente conseguenze positive. Anzi all’interno della seconda strofa rivelerà presto di essersi pentito di questa scelta. Infatti tale decisione è stata dovuta a due errori che si rimprovera all’interno del ritornello: il voler “moltiplicare una goccia d’acqua e chiamarla mare”, che rappresenta il tentativo di espandere all’infinito qualcosa di piccolo in cui si crede particolarmente con la speranza che porti a qualcosa per sé; il voler “fare l’esperto con la speranza che piaccia a te”, con cui si cerca di gonfiare il petto e dimostrarsi esperti su qualcosa solo per il desiderio di essere fieri e soddisfatti di se stessi.

In comune questi due atteggiamenti hanno una forma di narcisismo, del quale si nutre, probabilmente, il gruppo di cui vuole entrare a far parte Anastasio scegliendo di vendere il cuore. Questo gruppo non viene mai nominato esplicitamente, e quindi, per comprendere di chi si tratti possiamo solamente fare affidamento sulle poche indicazioni date da Anastasio. Sono persone che soffrono “solamente dei dolori esatti”, quindi mai troppo disperati o doloranti, ma in grado di soffrire solamente quei dolori utili per la loro esistenza; scrivono recensioni per “i concerti dei grilli”, ovvero danno la loro opinione critica anche di fronte a espressioni artistiche spontanee e anche quando non richieste; parlano solamente di se stessi attraverso i loro articoli, dunque quando scrivono non fanno altro che alimentare il proprio ego. Il riferimento è dunque probabilmente a quegli pseudointellettuali e pseudocritici, che ritengono di detenere una visione assoluta e oggettiva sull’arte.

Anastasio, vendendo il cuore, ha cercato di raggiungere la loro stessa presunta oggettività, ma se ne è pentito molto in fretta: in breve ha ricordato il tipo di arte che piace a lui, ovvero quella di cui parlava già in “Atto zero”, dove diceva:

L′arte è viva se pure per poco
Dal fumo e dal fuoco si affaccia l’oracolo
L′arte è atto unico, ora e subito
E se la credi ferma nei musei, mi pari stupido
Ce n’è di più nel sacchetto dell′umido, yah
Ce n’è di più nel sacchetto dell’umido
Che almeno vive, si evolve, è unico

L’arte per lui non è qualcosa di prefissato o oggettivo, ma un evento vivo, qualcosa di organico, in grado di far provare emozioni durante la fruizione attraverso elementi di bellezza e imperfezione. L’essere privato del cuore però gli impedisce di provare direttamente queste emozioni. Il mondo è per lui diventato qualcosa di “brullo e strano”, un luogo arido e privo di stimoli, in cui la vera arte non può proliferare.

I versi chiave

La carezza sognata è un miracolo azzurro
E quella avuta è solo un vento di mano

Questi versi, come dichiarato dallo stesso Anastasio, sono attinti direttamente da una poesia del poeta Massimo Ferretti e sono quelli da cui nasce l’intero testo della canzone. Di conseguenza analizzarli è utile per comprendere la struttura di base del brano.

Nei due versi vi è una contrapposizione evidente tra sogno e realtà. Da un lato infatti abbiamo parole appartenenti al campo semantico del sogno e del meraviglioso “sognata” “miracolo azzurro”; dall’altro invece quelle attinenti alla realtà “avuta” “vento” “mano”. In poche parole la carezza desiderata dal poeta e pensata come bellissima e piacevole, è, una volta ottenuta, solamente “un vento di mano”, ovvero di qualcosa di assolutamente deludente e imparagonabile con l’idea mentale iniziale. E se pensiamo al resto del testo, vediamo che questa è un po’ la tematica di fondo: Anastasio compie azioni nella speranza di ottenere effetti positivi compatibili con le proprie aspettative, ma ogni volta rimane insoddisfatto. La realtà è semplicemente più deludente del sogno.

Cosa dice Anastasio

Il testo della canzone nasce dai versi del poeta marchigiano Massimo Ferretti e in particolare al suo verso “perché la carezza se sognata può essere un miracolo azzurro e quella avuta è sola un vento di mano”.

Alla prossima puntata

Anche per oggi è tutto. Nel prossimo articolo analizzeremo gli ultimi tre brani.


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4 Comments

  1. Spero che l’articolo vi sia piaciuto! Presto online anche la terza parte!
    Aspetto eventuali opinioni o feedback!

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