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La Masia: quando la Programmazione è una Missione”

Cosa vuol dire programmare? Cosa vuol dire cercare di creare una legacy dopo un periodo ricco di vittorie e soddisfazioni?

È quello che sto cercando di capire da diversi anni, soprattutto quando, da appassionato di calcio mi rendo conto che al di fuori dei confini italici ci sono realtà che sono difficilmente riproponibili nel nostro calcio per motivi tecnici, culturali, ambientali.

Mi capita spesso di guardare delle partite della Premier League o della Bundesliga, ma anche della Ligue 1 e andare a cercare sui social l’età di uno dei protagonisti in campo e stupirmi nel vedere che ci sono giocatori che giocano titolari in club più o meno titolati all’estero che hanno un’età verdissima.

Parlo di giocatori del 2001-2002-2003 con qualche situazione in cui in campo ci sono dei 2005…sì dei 2005 come è capitato in Bundesliga con Youssufa Moukoko attaccante del Borussia Dortmund, ma altri ne stanno arrivando.

Queste situazioni mi danno da pensare perché in Italia a 16 anni giochi nell’under 16 e a 21 o 22 ti stai ancora facendo le ossa da qualche parte.

L’eccezione che mi sento spesso ripetere è che “se i giocatori sono buoni giocano”!!!

Mi permetto di dissentire per almeno due motivi:

Il primo è che non mi sembra realistico pensare che gli unici giocatori “millenials” buoni si trovano tutti all’estero, ma credo che solo all’estero questi ragazzi vengano messi nelle condizioni di giocare con continuità e senza paura in squadre blasonate e che non hanno PAURA di rischiare.

Per chi è appassionato come me oltre al sopra citato posso nominare Erling Braut Haland, Jadon Sancho, Jamal Musiala, Bukayo Saka, Ryan Gravenberch, Aurelien Tchouameni…ma l’elenco è infinito e in questo elenco difficilmente si possono trovare nomi di ragazzi che giocano in pianta stabile nel campionato italiano.

Il secondo motivo è, a mio modestissimo parere, culturale, perché in Italia non si perdona nulla, non è possibile permettere ad un giovane di sbagliare in campo imparando dai propri errori e i media che gravitano attorno al nostro calcio non aiutano certo questo tipo di evoluzione.

Domenico Criscito of Juventus in action during the Serie A 2007-08, Italy. (Photo by Alessandro Sabattini/Getty Images)

Ho ancora negli occhi la parabola di Domenico Criscito nella Juve, squadra per la quale faccio il tifo. Acquistato dalle giovanili del Genoa, si mette in evidenza nella Primavera della Juventus con cui vince il Torneo di Viareggio del 2005, giocato da protagonista, e vincendo nel 2006 la vittoria del campionato di categoria, segnando anche gol nella finale giocata contro la Fiorentina.

A 20 anni il 25 Agosto del 2007 Criscito fa il suo esordio con la Juve in una partita vinta dai bianconeri 5 a 1 contro il Livorno.

Dopo qualche partita giocata con continuità nel ruolo di difensore centrale incappa in una giornataccia al cospetto di Francesco Totti che già è Francesco Totti e il giorno dopo viene distrutto dai giornalisti della carta stampata. Ranieri non può o non ha il coraggio di insistere sul giovane che a gennaio viene mandato in prestito di nuovo al Genoa e da lì per altri lidi in una carriera costellata da tantissimi successi in qualità di capitano dello Zenit San Pietroburgo.

Con i russi ha vinto 2 campionati, 2 supercoppe di Russia e due coppe di Russia per poi tornare al Genoa dove gioca tuttora.

Ecco, Criscito mi sembra l’esempio perfetto di come i giovani giocatori italiani corrono grossi rischi nel campionato italiano.

Questo lungo, ma credo necessario preambolo, per arrivare al nocciolo del mio discorso che volge lo sguardo nella penisola iberica, anzi in Catalogna e si ferma allo stadio Camp Nou di Barcellona.

La politica del Barcelona

Il Futbol Club Barcelona non ha certo bisogno di presentazioni perché il solo nome fa venire in mente momenti di calcio meravigliosi nell’arco di tutta la sua storia e soprattutto nell’era moderna, diciamo dalla nascita del Guardiolismo, ha goduto di quanto di buono fatto a livello societario nell’andare a cercare i migliori giocatori in giro per il globo, ma anche nell’investimento fatto nella “Masia” il settore giovanile che ha contribuito in modo evidente e chiaro a permettere al club di godere di vittorie su vittorie.

E allora se da una parte abbiamo Messi, argentino di nascita, ma catalano nell’intimo visto che al Barca è arrivato a 10 anni, Romario, Ronaldinho, Rivaldo etc… dall’altra non possiamo non ricordare Xavi, Iniesta, Piquè, Sergio Busquet…

Pur essendo una società lungimirante ad un certo punto della sua storia il Barcellona non ha capito che la strada intrapresa e che ha regalato anni di successi, si stava perdendo inseguendo le dinamiche economiche degli arci rivali del Real Madrid che hanno puntato tutto sui grandi campioni mettendo da parte il settore giovanile.

Ed allora terminata l’era degli Xavi, degli Iniesta, dei Suarez e dei Neymar, si è creato un vuoto che prometteva di essere profondo e difficile da chiudere in breve tempo, portandosi dietro problemi economici impressionanti.

Come capitato anche ad altre squadre in giro per il mondo, con le “figurine” non si ottengono risultati nel momento in cui viene a mancare la squadra e soprattutto il suo spirito a maggior ragione in una squadra che ha una forte componente identitaria come il Barcellona che nel mondo rappresenta la Spagna, ma soprattutto la Catalunya.

Non era così difficile capire che nel momento in cui fossero mancare i soldi della Champions League, sarebbe stato difficile sostenere certi ingaggi.

Dove ha sbagliato il Barcellona?

Altro errore fatto dalla dirigenza e sottovalutare il momento in cui certi monumenti avrebbero lasciato il club senza programmarne la transizione.

Il canto del cigno dei “blaugrana” arriva durante la stagione 2018-2019 anno in cui il Barcellona vince il titolo e la supercoppa di Spagna, ma quelle vittorie oscurano i problemi e l’anno successivo arriviamo allo “zero tituli” di mouriniana memoria e in quella successiva arriva una Coppa di Spagna vinta in modo molto sofferto contro l’Athletic Bilbao, club ancora più identitario rispetto al Barcellona e rispetto a quasi tutti i club del mondo.

La dirigenza non capisce e continua ad attuare una politica lontana dalla realtà e che porta all’eliminazione dalla fase ai gironi della Champions League in un girone in cui a parte il Bayern di Monaco le avversarie erano il Benfica e la Dinamo Kiev.

Nella Liga ad oggi (5 marzo) si trova a 15 punti dalla vetta occupata dai “blancos” del Real Madrid e in lotta per un posto in Champions League insieme a Betis Siviglia, Villareal e Atletico Madrid, fuori dalla coppa del RE eliminato dal Bilbao e con la sola Europa League a disposizione per vincere un trofeo.

Fuori dalle coppe europee e con enormi difficoltà a vincere la partite come dimostra l’ultimo turno di campionato in cui ha avuto la meglio sull’Elche 3 a 2 con il gol decisivo di Nico a 5’ dalla fine, dopo che il Barca si era fatto recuperare un doppio vantaggio.

Ma i problemi di oggi nascono proprio dagli errori degli ultimi due anni in cui la dirigenza del Barcellona ha sbagliato ogni tipo di scelta.

Dal punto di vista della guida tecnica la squadra dal 2017 al gennaio 2020 è stata affidata ad Ernesto Valverde, disastro, sostituito da Quiqe Setien che dopo aver subito, tra l’altro un clamoroso 8 a 2 casalingo contro il Bayern Monaco in CL, viene mandato via per essere sostituito da Ronald Koeman.

Koeman per i barcellonisti è colui il quale regalò la prima CL, che allora si chiamava ancora Coppa dei Campioni, con una punizione al fulmicotone nei tempi supplementari che superò Pagliuca e spense il sogno della “Doria” di Boskov, Vialli e Mancini.

Ma dal punto di vista tecnico era chiaro a tutti, ma forse non a chi lo aveva scelto, che il curriculum di “Rambo” non andasse troppo d’accordo con lo stile di gioco del Barcellona, ma non c’è più cieco di chi non vuol vedere.

La prima stagione di Koeman finisce con gli ottavi di CL, la sconfitta nella Supercoppa di Spagna, il terzo posto in Liga e la vittoria della Coppa del Re, ma il fuoco delle polemiche non si è mai spento e il pubblico blaugrana non ha mai perso l’occasione per criticare e fischiare la squadra e il tecnico che stava via via perdendo l’identità.

Il nuovo Presidente eletto, Joan Laporta che torna sul trono per la terza volta, si è trovato davanti ad un club in crisi finanziaria tale che non ha potuto trattenere Leo Messi, ma su questo preferisco glissare, ma soprattutto si è trovato davanti un tecnico non scelto da lui, ma dal suo predecessore Bartomeu che ha concluso la sua esperienza presidenziale nel peggior modo possibile, perché il calcio dimentica in fretta i trofei e ricorda molto bene le sconfitte.

Dal punto di vista del parco giocatori era quanto meno curioso vedere certi nomi non solo accostati al club, ma addirittura titolari in campo, nomi che con tutto il rispetto non sono all’altezza del blasone dei una delle squadre più vincenti al mondo.

Braithwite, Lenglet, Dembelè, Araujo, Luuk de Jong, Umtiti, sono giocatori che hanno contribuito allo scempio che ha coinvolto la squadra e che ha portato il presidente ad una scelta coraggiosa, anche se molto ben vista dal tifoso barcellonista.

A questo punto Laporta decide di ritornare alle origini e di rimettere al centro del villaggio l’orgoglio di un popolo e soprattutto la “Masia”.

E Oggi?

Con una mossa molto coraggiosa ha chiamato in panchina una bandiera vera che risponde al nome di Xavier Hernandez Creus per tutti Xavi, nativo di Terrassa cittadina a 28 km di distanza da Barcellona nato con lo stemma del club tatuato sul petto e che con il club ha vinto tutto e quando dico tutto intendo proprio tutto…campionati, coppe del Re, supercoppe di Spagna, Champions League (4), supercoppe Uefa, Coppe del mondo per club (2) senza contare europeo e mondiale con la Spagna e premi individuali da riempire due pagine in formato A4.

L’arrivo di Xavi non poteva comunque invertire la rotta ed infatti è arrivata la prima eliminazione ai gironi della CL dopo vent’anni e in campionato la squadra ha faticato per capire i dettami del nuovo tecnico.

Ma la cosa più chiara ed inequivocabile è l’invertire della rotta, rimettendo la programmazione al centro del progetto, perché possa essere un progetto a lungo termine e non a breve termine per buttare fumo negli occhi ai tifosi.

Il rischio è stato grosso e non so quanto calcolato, ma la necessità per Xavi e Laporta era cercare di far uscire da un “limbo” che si poteva rivelare mortale e dove il club, non abituato a frequentare la melma, avrebbe avuto difficoltà a tirarsi fuori.

Il punto di svolta ha una data ben precisa ed è sabato 18 Dicembre 2021 con il  Barcellona che scende in campo al Camp Nou con la seguente formazione:

Ter Stegen (29) Araujo (22) Garcia (20) Lenglet (26) Frank de Jong (24) Gavi (17) Busquets (33) Jordi Alba (32) Dembelè (24) Jutggla (22) Ezzalzouli (20) – Subentrati Baldè (20) Nico (19) Riqui Piug (22).

Oltre a questi in panchina erano presenti Jaime (22) Mingueza (22) Pena (22) Sanz (20).

Praticamente una squadra di ragazzini, una squadra frutto della Masia, una squadra con una età media bassissima, ma che potrebbe avere il futuro dalla sua.

Questo dipenderà molto dalle scelte che verranno fatte, ma io credo che Xavi stia indicando la linea.

Immagino le parole di Xavi

Possiamo soffrire qualche stagione, ma se riusciamo a lavorare bene con ciò che abbiamo in casa rimettiamo a posto le casse della Società e ricominciamo a divertirci, anche perché se spendiamo poco o comunque bene con questi ragazzi, potremmo riuscire a ricostruire una legacy come quella che vide emergere proprio calciatori come me, Iniesta, Busquets, Piquè, Puyol, Messi

Io credo che alla maggior parte delle squadre blasonate manchi questo coraggio, perché i risultati a breve termine sono sempre quelli che riempiono gli occhi e la bocca dei tifosi, soprattutto se parliamo di tifosi abituati a lottare ogni anno per vincere qualcosa.

Ma non sono sicuro che questo ragionamento sia quello giusto, io credo che se Laporta terrà duro, se i tifosi terranno duro, se i giornalisti catalani terranno duro, o meglio faranno il loro lavoro in modo terzo e non utilitaristico, tra qualche anno potremo vedere se ci ho visto giusto o meno, ma probabilmente tra qualche anno nessuno si ricorderà di questo mio lungo post e avrò comunque salva la mia tenue reputazione.

E da quel 18 dicembre, momento in cui il Barcellona si trovava a 27 punti dalla vetta, sono già stati fatti un sacco di passi avanti e sempre portando avanti le idee senza guardare necessariamente i risultati, perché alla “bella gioventù” bisogna permettere di sbagliare perché l’errore fa parte dell’apprendimento e non è una colpa mortale!

Oggi il Barcellona, pur attardato in campionato, sta crescendo nelle prestazioni e nelle convinzioni e sempre con i giovani al centro del progetto, ma accompagnati dall’esperienza di chi ancora tiene botta, Piquè, Sergio Busquets e Jordi Alba su tutti.

Nelle ultime 4 gare in termine temporale il Barcellona ha segnato 4 gol a partita di 4 al Diego Armando Maradona di Napoli dove ha eliminato la squadra partenopea dall’Europa League, che adesso vede i “blaugrana” favorita per la vittoria finale.

Essere un tifoso del Barcellona oggi dev’essere una gioia perché si vede un progetto a lungo termine con ragazzini terribili che i top club europei invidiano.

Certo bisogna aver il coraggio di far giocare questi ragazzi e allora torniamo all’inizio del discorso e il cerchio si chiude.

Paragone con la Juventus

Termino il ragionamento non potendo non fare un paragone con la situazione della Juventus.

Squadra più vincente in Italia negli ultimi 11 anni e anche in questo caso la Società non è stata in grado di capire che il ciclo stava finendo cercando di programmare.

Ha pensato solo a fare acquisti roboanti o parametri zero a cui comunque devi dare un sacco di soldi e che oggi dopo 3 anni non ti hanno dato niente e anzi ti stanno trascinando nel baratro perché sono zavorre difficilmente scioglibili.

Rabiot e Ramsey sono gli esempi più lampanti, ma Allegri che non è certo Xavi non penso possa e abbia la forza di indicare la strada che a mio parere è quella giusta.

Il paradosso è che la Juventus è la Società italiana che a livello giovanile cerca di reclutare talenti in Italia e all’estero, ma questo non basta perché poi bisogna avere il coraggio di puntare su questi ragazzi, dargli fiducia e smettere di leggere i giornali con i giudizi taglienti e spesso fuorvianti di chi in modo superficiale da giudizi senza approfondire.

In una stagione come quella attuale che accomuna la Juventus al Barcellona sarebbe stato meglio dare fiducia a ragazzi cresciuti nelle giovanili che sicuramente sentono molto di più la maglia rispetto a qualche straniero pompato da procuratori e giornali che bada solo all’arrivo del lauto bonifico il 27 del mese e magari alla fine ti ritrovi un “Nico” o un “Gavi” che ti decide una gara complicata contro una squadra di bassa classifica e capisci che quella potrebbe essere la strada giusta per tornare a competere con i più forti.

Ovviamente questo discorso vale per tutti i club italiani in linea generale perché i nostri ragazzi non trovano spazio e continuano ad essere mandati in prestito per “maturare” fino a quando sono talmente maturi che cadono in terra marci e con la sensazione di non essere stati nelle condizioni di poter dimostrare il loro valore.


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